LA STORIA

Tratto dall’opuscolo redatto nel 1990 nell’ambito dei festeggiamenti per il 20° della teleferica

Una breve storia della montagna

Non si sa con precisione a quando risalgono i primi insediamenti umani nella regione di Camorino, alcune tracce fanno però pensare ad antichi popoli  anche se il ritrovamento di due asce neolitiche nella zona di Vigana(1)  non costituisce una dimostrazione  sufficiente per far risalire a circa 4500 anni fa la costituzione dei primi nuclei abitativi a Camorino. La  toponomastica  conserva tracce che si possono forse far risalire all’epoca celtica (circa 2000 anni fa); in particolare il “Mott da Duné” potrebbe essere ricondotto ad una forma celtica “Dun” che starebbe a significare “fortezza , punto di osservazione”. Certamente latini sono i nomi di Vigana, dal latino VICANUM: vicina e di Arla da ARULA: posto di scambio e di ristoro per cavalli e viandanti. Le prime notizie documentate su Camorino risalgono al XIII secolo(2).

Per quanto riguarda la montagna che ci concerne da vicino, tanto per intenderci quella sorta di “panettone” compreso tra la Valle Morobbia e il  “Riaa Grand” e sovrastato dalle cime del Corgella, le notizie sono poche. Un testo interessante, Il libro dei compadroni di Croveggia,  é forse l’unico documento di una certa vetustà che parla dei nostri monti. Di esso diamo notizia a parte ( nella microstoria n.d.r).

I cascinali che si trovano sui monti risalgono più o meno tutti alla metà del 1800, ma ciò non significa che prima di allora sulla montagna non vi fosse attività alcuna, é anzi probabile che durante l’estate vi si trovassero pastori e boscaioli che trovavano riparo in rifugi di fortuna di cui non é rimasta traccia.

Nel secolo scorso la montagna era coperta di boschi e di prati; questi ultimi assai estesi, sono stati parzialmente invasi dagli alberi negli ultimi decenni.

È dunque logico che le attività umane ruotassero attorno a questi beni. Sugli alpi si portavano le mucche e il bestiame minuto ( le capre erano lasciate al vago pascolo), accudite dai ragazzi mentre gli adulti tagliavano legname(3)o raccoglievano strame o fieno di bosco(4) che venivano poi smistati tramite una fitta rete di fili a sbalzo che confluivano in parte a Croveggia e in parte “ a la Crimura”: vero e proprio crocevia per il traffico via filo di quasi tutta la montagna.

Le zone in cui si tagliava la legna, probabilmente, cambiavano a seconda dell’impiego a cui era destinata: la legna da ardere veniva tagliata in alto, nel faggeto, da 8oo msm in su; la selva castanile, più in basso, era destinata alla produzione di castagne, che poi venivano fatte essiccare  “ai Grà”, o di legname d’opera: pali per la vigna, travi, assi. Il castagneto, preziosa fonte di alimento, veniva curato attentamente; a nessuno sarebbe venuto in mente  di tagliare un castagno per bruciarlo ( al di là delle caratteristiche del legno che lo rendono poco adatto a questo uso). Le carbonaie sono infatti  estremamente rare nella selva castanile, che si sappia, se ne trova solo una  sulla scalinata di San Bartolomeo, appena sotto la frazione Margnetti; sono invece numerosissime fra Croveggia, Prò Dent e Pian Grand. Alcune si trovano a est di Prò Dent, verso la Valle Morobbia, e l’ osservatore attento in questi spazi può ancora trovare qualche pezzo di carbone o qualche pietra annerita. Nella stessa zona si possono ancora vedere i resti di un rifugio dei carbonai, in bilico su un dirupo, che ben dà l’ idea di quali fossero le condizioni di vita di questi uomini(5).

D’ altronde tutti i montanari avevano vita dura: carbonai, boscaioli e pastori. Chi ha visto da vicino lo “Schbalz dela Fruda” può forse immaginare cosa volesse dire aggrapparsi alle radici per recarsi su quelle cenge a tagliar fieno di bosco . Gli incidenti non erano rari.

Un’attività temporanea che ha interessato il Pian Grand, connessa alla tensione esistente fra il giovane Canton Ticino e l’impero Austriaco a metà del 1800, é quella degli scalpellini. Dai grossi massi erratici che si trovano su quel monte, infatti, sono state cavate le spalle, gli architravi e i gradini degli accessi alle “torri”, i fortini della fame. Le grosse pietre lavorate sono poi state trascinate a forza di braccia fino in basso e messe in opera.

Mantenere vivi i nostri monti, pur con un’altra funzione rispetto a quella di un tempo, é un modo per rispettare la fatica di questi uomini, donne e bambini che, molti anni fa, sugli stessi monti hanno vissuto, lavorato e, spesso, sofferto.

  1. (1) Aldo Crivelli, Atlante preistorico e storico della Svizzera Italiana, Vol. I, IET, Bellinzona 1943
  2. (2) Cfr.AAVV, 400° di fondazione della Parrocchia di Camorino, Dadò, Locarno, 1983
  3. (3) Su questa attività v. Abele Sandrini, Boschi, boscaioli e fili a sbalzo, Dadò, Locarno 1985
  4. (4) Cfr. Franco Binda, I vecchi e la montagna, Dadò, Locarno,1983
  5. (5) Sui carbonai consiglio il racconto di Mario Rigoni Stern, I carbonai in Uomini, boschi e api, Einaudi, Torino 1980
I resti del rifugio dei carbonari
La carbonaia